Le biotecnologie...
Molti prodotti alimentari, come il
pane, il vino e lo yogurt, da migliaia di
anni presenti sulle nostre tavole, sono
“vivi”, perché nella loro preparazione
intervengono microrganismi, ossia
microscopici organismi viventi, attraverso
reazioni chimiche controllate da
specifici enzimi.
Lo yogurt è latte fermentato, reso
acido da microrganismi che trasformano il lattosio,
zucchero del latte, in acido lattico; nel
vino, invece, lo zucchero dell’uva viene
trasformato in alcol; il pane, infine, lievita
grazie alla produzione di anidride
carbonica da parte di particolari microrganismi,
i lieviti.
Il ruolo dei microrganismi (e degli
enzimi da essi prodotti) nella produzione
di questi alimenti fu individuato
da Louis Pasteur nel 1876 e, da allora,
l’utilizzo (consapevole) dei microrganismi
ha consentito lo sviluppo di tecnologie
in grado di realizzare prodotti
utili per uomo: le biotecnologie.
Le biotecnologie sono dunque quelle tecnologie
che utilizzano microrganismi
(o cellule animali e vegetali o,
ancora, gli enzimi da essi prodotti)
per la realizzazione di prodotti utili per l'uomo!
Ingegneria genetica
Il grande “salto” in avanti delle biotecnologie si realizzò solo dopo che Watson e Crick (1953) elaborarono il loro modello della struttura del DNA, identificando in questa molecola la sede delle informazioni genetiche per la produzione di qualunque proteina. La scoperta dei meccanismi che regolano la sintesi proteica ha consentito, dagli anni ’70, lo sviluppo di una tecnologia in grado di far produrre da un organismo microscopico (riproducibile in gran quantità e a un costo relativamente limitato) una proteina di un altro organismo, impossibile da ottenere in altro modo o, comunque, ottenibile (per estrazione o per sintesi industriale) in quantità limitate o solo a costi molto elevati.
Questa tecnologia, detta tecnologia del DNA ricombinante o ingegneria genetica, impiega il DNA ricombinante, ossia
una molecola di DNA ibrida, ottenuta
inserendo il gene della proteina desiderata
in una molecola di DNA - vettore che si introduce e si replica nelle
cellule dell’organismo da cui si vuol far
produrre la proteina (cellule ospiti). In
pratica, da una cellula di un organismo
“donatore” si estrae il gene richiesto (o,
meglio, frammenti del DNA tra i quali
è compreso anche quello richiesto), lo
si lega a un vettore (una molecola particolare
di DNA capace di penetrare in
una cellula ospite) formando così un
DNA ibrido, detto DNA ricombinante,
che si inserisce in una cellula “ospite”,
appartenente a un altro organismo.
La cellula ospite, ricevuto il DNA ricombinante,
acquisisce la capacità di
produrre la proteina codificata da quel
gene, cioè si trasforma, diventa una
cellula ricombinante.
La trasformazione comporta per
la cellula l’acquisizione di una nuova
proprietà: la capacità di produrre
quella proteina. Essendo stabilmente
integrato nel DNA della cellula ospite,
il gene si riproduce insieme alla cellula,
per cui le cellule figlie manterranno
tutte la capacità di produrre la nuova
proteina.
Stimolando la riproduzione delle
cellule ospiti (clonazione), in poco
tempo si otterrà una popolazione di milioni di cellule, tutte in grado di produrre
la proteina desiderata.
Le cellule che vengono utilizzate
come “ospiti” del DNA ricombinante
devono essere:
1) in grado di ospitare il DNA ricombinante
(che va costruito utilizzando
un vettore adeguato alla cellula in
cui deve inserirsi);
2) facili da coltivare (si devono riprodurre
rapidamente);
3) innocue (sia per il personale di laboratorio
che le manipola che per il
destinatario della proteina prodotta:
non possono essere usate cellule di
microbi patogeni, che potrebbero
infettare i laboratoristi o contaminare
la sostanza proteica da produrre
con sostanze tossiche prodotte dal
batterio stesso).
http://online.scuola.zanichelli.it/barbonescienzeintegrate/files/2010/04/V17_01.pdf
Questa tecnologia permette interventi mirati, che modificano in modo specifico solo i geni dei caratteri su cui si vuole agire. Inoltre, le metodologie odierne consentono di trasferire DNA non solo tra individui della stessa specie, ma anche tra specie diverse, spesso molto differenti l’una dall’altra. Si possono, per esempio, trasferire geni da un batterio a una pianta o introdurre in un batterio un gene proveniente da una cellula eucariotica.
Gli scopi di questa operazione possono essere diversi: determinare un miglioramento genetico nell’individuo ricevente (per esempio, una maggiore resistenza agli attacchi dei parassiti), oppure utilizzare l’organismo ricevente per clonare il gene introdotto e servirsi della cellula ospite come una «fabbrica» per la produzione di molecole utili.
Il primo passaggio consiste sempre nel tagliare il DNA. Per tagliare e ricucire i geni sono necessari enzimi specifici (enzimi di restrizione e ligasi). La loro scoperta è stata la chiave che ha aperto la porta allo sviluppo di tutte le tecniche di manipolazione del DNA.
http://ebook.scuola.zanichelli.it/sadavabiologiablu-plus/le-basi-molecolari-della-vita-e-dell-evoluzione-plus/le-biotecnologie/la-tecnica-del-dna-ricombinante-e-alla-base-delle-moderne-biotecnologie-plus#
Bene Davide! Dovresti inserire le fonti di queste due belle risorse (link o libri) e, per completare, citare un paio di studi che illustrano applicazioni biotecnologiche nuove, basate sul DNA ricombinante.
RispondiEliminaBuon lavoro!
fatto a domani prof
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