domenica 22 marzo 2015

AGRICOLTURA HIGH-TECH: PRODUTTIVITA' O ETICA?

"Coltivare nel deserto"

Un gruppo di scienziati ha scoperto un meccanismo genetico che permetterebbe alle piante di sopravvivere alla siccità

In condizioni di tempo molto secco, le piante possono perdere fino al 95% del loro contenuto di acqua attraverso i piccoli pori sulla superficie delle foglie, chiamati stomata.  È da molti anni che si sta cercando il gene che controlla l’apertura e la chiusura degli stomata, e sembra che finalmente un gruppo di scienziati  in Finlandia e California ce l’abbiano fatta: i risultati della ricerca, pubblicati su “Nature”, riportano la scoperta di un processo genetico cruciale nel controllo dei pori.

Si tratta di un gene che controlla la quantità di anidride carbonica assorbita dalle piante e la quantità di vapore acqueo rilasciato nell’atmosfera.  Se gli scienziati riusciranno a modificare le piante in modo da ridurre la quantità di acqua rilasciata nell’aria, questa scoperta potrebbe avere un impatto determinante per la produzione agricola e per la regolazione dei cambiamenti climatici. Le piante modificate sarebbero infatti in grado di sopravvivere in condizioni di siccità.
Gli esperimenti sono stati condotti su diverse varietà di crescione, ma il meccanismo genetico è lo stesso anche per molte altre piante usate per l’alimentazione, compreso il riso. Gli scienziati ritengono probabile che un’applicazione pratica di questa scoperta possa essere messa sul mercato nel giro di vent’anni. 

Tratto da:   (http://medialab.sissa.it/scienzaEsperienza/notizia/2008/feb/Uesp080229n003/)


Ma se non si modificano le piante, esistono alternative? L'articolo che segue propone di modificare la "sabbia".

"Si può fare veramente  agricoltura nel deserto"?
Sabbia idrofoba
Ad agosto a due kilometri dal Mar Morto, dove la pioggia cade molto raramente e la temperatura può raggiungere i 50°C, è stato condotto tra la DIME, società degli Emirati Arabi Uniti (EAU), e il Fraunhofer Institute di Freiburg i. B. un esperimento molto innovativo di permacultura.
La permacultura, dall’inglese permanent culture (cultura permanente) è nata come modello di agricoltura sostenibile sviluppato nel 1978 da Bill Mollison e David Holmgren in Australia. La permacultura insegna a progettare insediamenti umani che imitino il più possibile gli ecosistemi naturali. Progettare in permacultura significa creare sistemi che durino nel tempo, che siano sostenibili, equilibrati e stabili, ovvero in grado di auto mantenersi e rinnovarsi con un basso input di energia.
L’esperimento di Permacultura nel Mar Rosso ha dimostrato che si può far crescere alberi da frutto nel deserto. La collaborazione arabo-tedesca ha portato alla creazione di una sabbia impermeabile, idrofoba, che si può stendere direttamente a terra o su fogli a strati utilizzando le nanotecnologie. L’obiettivo è di impedire il rilascio della preziosa umidità che si forma nel deserto durante la notte, rendendola disponibile alle radici delle piante. Questa sottilissima coltre di “super sabbia” è attualmente in fase di produzione al ritmo di 3.000 tonn./giorno e promette una rivoluzione nel deserto.
Mohammad Saeed Hareb spiega che un foglio di sabbia impermeabile al di sotto della sabbia del deserto potrebbe combattere la desertificazione e facilitare la crescita delle piante, anche nei climi più aridi. Questo farebbe diminuire l’utilizzo di acqua fino al 75%, oltre ad impedire l’impoverimento delle falde acquifere. Addirittura sarebbe possibile con il tempo coltivare in deserti dai suoli salini, dove le precipitazioni sono ancora più basse e dove qualsiasi pioggia che cade evapora lasciando dietro tracce saline che si accumulano nella parte superiore del terreno.
Generalmente suoli come questi possono essere coltivati solo inondandoli con grandi quantità di acqua. Orbene, anche se questo fosse possibile, il risultato sarebbe di trovarsi con acqua stagnante ad alto contenuto di sali, senza considerare inoltre il fatto che essendo la maggior parte dei terreni desertici piatti, non favoriscono lo scorrimento delle acque; questa particolarità è ancora più dannosa per le colture.
Anche se la DIMA non rivela l’esatta natura del rivestimento nano tecnologico in uso, ma lo chiama SP-HFS-1609, questo prodotto è stato studiato in collaborazione con il Fraunhofer Institute, ed approvato dall’Uffizio Federale per l’Ambiente tedesco, che ha confermato la non pericolosità e la sicurezza ecologica della nuova sabbia impermeabile. Nella principale Università degli EAU, dove la sabbia idrofoba è stata testata dal dicembre 2007, palme, erbe e riso crescono con successo. Ma la vera sorpresa è stato il riso, un caso di successo ed addirittura c’è chi prevede una rivoluzione nelle tecniche di coltivazione agricola in regioni aride come l’Arabia, l’Africa, l’India ed alcune parti dell’Australia. A mano a mano che la popolazione aumenta, anche la scarsità di acqua aumenta, ricordando, inoltre, che in Medio Oriente e Africa del Nord, l’85% di acqua è utilizzata per l’irrigazione.
Tratto da: http://www.aneddoticamagazine.com/2012/09/lagricoltura-nel-deserto/ di E. Furia e P. Facetti la cui mission è: "Trattiamo soprattutto della “razionalità del comportamento umano nella produzione e nel consumo”, argomenti che la “sedicente scienza economica” confina solo nell’insulso “profitto monetario” creando perfino contraddizioni logiche.

Un'altra possibilità per aumentare la resa dei raccolti è:

La fotosintesi sovralimentata

Fotosintesi

Strumenti genetici avanzati potrebbero aiutare ad aumentare la resa dei raccolti e nutrire miliardi di persone. Disponibili fra 10-15 anni.

Il processo di sovralimentazione, denominato fotosintesi C4, aumenta la crescita delle piante catturando l’anidride carbonica e concentrandola in cellule specializzate nelle foglie.
Così facendo, il processo fotosintetico è in grado di operare con una efficienza di gran lunga superiore. Già sperimentata su mais e zucchero, si sta sperimentando sul riso. Se il riso C4 dovesse mai diffondersi, nel giro di poche settimane arriverebbe a torreggiare sulle convenzionali piante di riso piantate allo stesso momento. I ricercatori calcolano che l’ingegnerizzazione della fotosintesi C4 nel riso e nel grano potrebbe incrementare la resa per ettaro di circa il 50 percento; in alternativa, si potrebbe utilizzare molta meno acqua e fertilizzante per produrre la stessa quantità di cibo.
I risultati di dicembre, conseguiti da Paul Quick dell’International Rice Research Institute (IRRI) nelle Filippine, e Julian Hibbert, un professore dell’Università di Cambridge nel Regno Unito, hanno introdotto cinque geni fondamentali per la fotosintesi C4 all’interno di una pianta di riso e dimostrato che questa era in grado di catturare anidride carbonica attraverso lo stesso processo che può essere riscontrato nelle piante che dispongono già di questa forma sovralimentata di fotosintesi. 
“È la prima volta che vediamo effetti di fotosintesi C4 nel riso, per cui siamo molto emozionati”
ha detto Thomas Brutnell, un ricercatore del Danforth Plant Science Center di St. Louis. Brutnell fa parte del C4 Rice Consortium gestito dall’IRRI, che è finanziato dalla Bill & Melinda Gates Foundation, ma non è stato direttamente coinvolto nelle più recenti scoperte. Nonostante le modifiche genetiche, le piante di riso alterate continuano ad affidarsi primariamente alla loro naturale forma di fotosintesi. Per riuscire a completare il passaggio, i ricercatori devono modificare le piante affinché producano cellule specializzate secondo un preciso allineamento: un insieme di cellule per la cattura dell’anidride carbonica che circonda un altro insieme di cellule che la concentra. È questa, infatti, la caratteristica anatomia a corona che si trova nelle foglie delle piante che ricorrono alla fotosintesi C4.
Eppure, gli scienziati non conoscono tutti i geni coinvolti nella produzione di queste cellule e sospettano che potrebbero essere diverse dozzineNuovi metodi di editing del genoma che permettono agli scienziati di modificare precisamente parti del genoma delle piante potrebbero aiutare a risolvere questo problema. L’impiego della convenzionale riproduzione per manipolare più di uno o due geni è un “incubo”, dice Brutnell, tanto meno il cercare di ingegnerizzare una pianta e modificare dozzine di geni. L’editing del genoma potrebbe consentire di modificare un gran numero di geni con facilità. Secondo Brutnell, “ora abbiamo gli strumenti per perseguire un simile risultato”.
Potrebbe volerci un decennio o più prima che anche le più semplici colture modificate raggiungano gli agricoltori. Figuriamoci quindi modifiche complesse quanto la riprogettazione del processo di fotosintesi delle piante. Una volta risolto il puzzle della C4 in piante come il riso, però, il metodo potrà essere esteso per incrementare a dismisura la produttività di diverse altre colture, inclusi il grano, le patate, i pomodori, le mele e la soia.
(MO)

L'uso di biotecnologie in campo agroalimentare, solleva anche importanti questioni etiche:

Salvare delle vite o seguire l'etica?

L'ingegneria genetica nei paesi in via di sviluppo


Quando si discute della coltivazione di piante geneticamente modificate nei paesi in via di sviluppo, ci si pongono questioni sulla globalizzazione e la monopolizzazione dell'agricoltura, o questioni più fondamentali come l'equità. Gli esperimenti fatti con le piante geneticamente modificate rivelano i vantaggi della nuova coltura, ma anche gli aspetti più problematici. I punti più importanti sono trattati qui sotto.
Attraverso la coltivazione delle piante geneticamente modificate si spera di raggiungere l'obiettivo di un'alimentazione mondiale sufficiente e di migliore qualità. Tuttavia, la fame e la malnutrizione non sono dei problemi generati principalmente dalla quantità di generi alimentari prodotti. Al fianco della povertà, le cause della crisi alimentare sono una cattiva politica di distribuzione alimentare, come anche relazioni politiche instabili. I prodotti derivati dall'ingegneria genetica non possono modificare questi parametri, perciò è sbagliato dire che «l'ingegneria genetica verde» rappresenti la soluzione per sconfiggere la fame nel mondo. I fattori appena descritti devono essere combattuti, e delle strutture corrette a livello di mercato globale devono essere messe in atto.
Il problema della dipendenza delle imprese agricole deve ugualmente essere tenuto in conto. Come le specie tradizionali altamente produttive, molte piante transgeniche sono delle specie ibride. Le specie ibride sono, per ragioni biologiche, più produttive. Tuttavia, se i semi sono raccolti e utilizzati per una nuova semina, la produttività cala drasticamente. Gli agricoltori devono quindi acquistare le sementi nuove per ogni semina. Le discussioni intorno alle specie ibride sono vecchie come le piante ibride, cioè più di 50 anni. Per i contadini europei e degli Stati Uniti, acquistare ogni anno le nuove sementi ibride significa una migliore capacità germinativa, favorevole dal punto di vista economico. Questo è il caso anche per i contadini dei paesi in via di sviluppo?
Molte specie geneticamente modificate sono protette da un brevetto. In molti sono contrari alla presentazione di brevetti sul patrimonio genetico. I brevetti su organismi viventi sono rifiutati perché non basati su delle «invenzioni», ma sulla scoperta del modo di funzionamento delle sequenze genetiche. Tuttavia i brevetti assicurano che valga la pena di investire nello sviluppo di nuove tecnologie. Essi costituiscono anche un'importante forza motrice per la ricerca. Si può discutere se sia giustificabile il fatto che le imprese che producono semi non permettano di coltivare le piante brevettate se non si pagano i diritti.

Le discussioni sull' «ingegneria genetica verde» sono caratterizzate da questioni sui valori e gli scopi sui quali si basa tutto il mondo nel dominio agroalimentare. Si tratta anche di pesare l'importanza degli argomenti economici, ecologici e sociali, e quindi di rispondere a domande come: quale profitto è giustificabile e a che prezzo? Quali danni all'ambiente son considerati tollerabili? Quali effetti negativi per la società devono essere evitati? Tali questioni sulla remunerabilità, la tolleranza della natura e la giustizia sociale, sono riassunte in etica dal principio della gestione sostenibile. Questo significa che l'introduzione dell'ingegneria genetica nell'agricoltura deve essere economicamente, ecologicamente e socialmente ragionevole, al fine che l'introduzione sia sostenibile e giustificata.



"Le leggi morali non ce le ha date Dio, ma non per questo sono meno importanti. Questa dovrebbe essere l'etica dominante, senza aspettarsi una ricompensa nell'aldilà. Senza leggi etiche ci sarebbe il branco e non la società. E andrebbero insegnati valori comuni a credenti e non, il perdono, non fare del male agli altri, la solidarietà. Ma soprattutto, bisognerebbe imparare a dubitare, a diventare scettici"

Margherita Hack

2 commenti:

  1. Caro Giuseppe,
    il tuo post è interessante (anche bello!) trattando di due biotecnologie per l'agricoltura, di cui una praticabile nel deserto, di una tecnologia (non bio) alternativa per la coltivazione nel deserto (sabbia idrofoba) e infine di importanti questioni etiche legate ai brevetti delle sementi ingegnerizzate. Tuttavia, proprio per questa articolazione richiede un titolo più comprensivo delle tematiche affrontate, rispetto a:"Il deserto e le nuove frontiere biotecnologiche". Puoi risolvere la criticità?

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  2. Grazie prof☺☺
    troveró un titolo più pertinente!!

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